UNA STORIA DI FAMIGLIA

Il San Domenico apre i battenti il 7 marzo 1970 per volontà di Gianluigi Morini, grande appassionato di arte e bellezza.
Il cinema è uno dei suoi hobby preferiti, assieme a quello della cucina, che coltiva invitando a
cena gli amici e sperimentando su di loro le sue abilità di cuoco, di sommelier e di regista.
Comincia a documentarsi sui ristoranti d’Italia e di altri paesi e matura la convinzione di costruire un locale “su misura”; lo fa verso la fine degli anni ’60 nei locali della casa paterna, realizzando un ristorante da venti tavoli, del quale cura tutti i particolari: dalle le pareti ricoperte di tela di lino ai bicchieri di cristallo e i sottopiatti d’argento ai fiori freschi ogni giorno.
Il San Domenico vede scelte gastronomiche che dapprima tendono a contemperare i sapori
della tradizione con la cura e il gusto della cucina di casa. In seguito Morini si rivolge
all’esperienza di Nino Bergese, grande cuoco che vantava una carriera di prestigio nelle cucine di re e potenti italiani e stranieri.
L’idea era quella di dare a tutti la possibilità di conoscere e apprezzare la grande cucina delle
case nobiliari italiane. Il rapporto di Bergese con Valentino Marcattilii, il giovane cuoco che aveva assunto la responsabilità della cucina, era straordinario e l’intesa magnifica e quello che scaturì fu un primo caso in Italia di ristorazione che sdogana il concetto tutto romagnolo di trattoria, a favore di un’esperienza curata e raffinata, che non invidia niente ai cugini francesi.

NINO BERGESE

L’ospite va rispettato: viene per mangiare e per gioire del sapore delle nostre preparazioni.”
Nino Bergese

È il 1917 quando Giacomo Bergese (1904-1977) a soli 13 anni, presso il Conte Bonvicino, affianca lo Chef Giovanni Bastone (futuro cuoco della famiglia Agnelli) iniziando così la sua carriera che lo vedrà protagonista nelle cucine delle più prestigiose famiglie dell’aristocrazia e dell’alta borghesia italiana. Nel 1926, a soli 22 anni, preparò il pranzo per il ventiduesimo compleanno di Umberto di Savoia: la torta fiorentina a strati di cioccolato che il principe gli fa ripetere per tre giorni di fila fu un grande successo a cui seguirono numerose collaborazioni con casate aristocratiche e palazzi borghesi.
Dopo la guerra Bergese abbandona le grandi famiglie e si ritira a Genova dove in un antico carrugio del centro storico, apre il ristorante “La Santa”, di cui è proprietario e cuoco. Conquista le due stelle della guida Michelin, il massimo riconoscimento, allora, per l’Italia.
Fu Giangiacomo Feltrinelli che lo convinse a raccogliere le 513 ricette più famose nel libro “Mangiare da re”.
Non fu facile per Morini convincere Bergese a ricominciare al ristorante San Domenico perché nel 1972 si considerava ormai in pensione. Ma il suo ingresso al San Domenico significò il giusto coronamento del progetto ambizioso e unico di Morini.

Valentino Marcattilii

Inizia giovanissimo a 16 anni al ristorante San Domenico come aiuto di Nino Bergese collaborando per ben 7 anni, fino alla morte del maestro. Inizia da questo momento una serie di stages presso i più rinomati ristoranti di Francia e al suo ritorno assume la direzione delle cucine del ristorante San Domenico del quale ora è anche comproprietario.
Valentino propone una cucina che unisce grande rispetto per Ia tradizione, freschezza dei prodotti del territorio, rigore e semplicità di preparazione a un’efficiente organizzazione.
Introduce, per Ia prima volta nella ristorazione italiana, quella idea di “cucina di casa” che fino ad allora era stata custodita entro le spesse mura delle dimore patrizie. Iniziano così le consulenze internazionali presso il Monterey Plaza (California), il Ristorante Donatello a San Francisco, il Ristorante La Main à La Pâte di Parigi, il Ristorante del Palm Bay Hotel a Miami e il Conrad Hilton di Hong Kong.
Alla fine degli anni 80 partecipa e conduce programmi per BBC e World Class (Channel 4).
Nel giugno deI 1988 il ristorante San Domenico apre a New York al 240 di Central Park South. Valentino assume la direzione delle cucine come executive chef.
In luglio Brian Miller, critico del New York Times, gli assegna 3 stelle: riconoscimento che non aveva mai dato prima a un ristorante italiano.

L'UOVO IN RAVIOLO

Il piatto icona: la storia continua

Ogni tanto penso a quante volte Gino Paoli ha cantato ‘Il cielo in una stanza’, o Gianni Morandi ‘C’era un ragazzo’. Ecco, io credo che loro non si siano mai annoiati a rifare le loro canzoni, anzi, credo che ogni volta dentro di loro sentano qualcosa di bello. La stessa cosa, nel mio piccolo, mi succede quando preparo il piatto della mia vita. Non ci faccio l’abitudine.

Valentino Marcattili

IL SAN DOMENICO OGGI

Il San Domenico è il luogo delle persone di cuore, di coraggio, di cultura e di passione.
Un ristorante capace di evolversi, tenendo salde le proprie radici culturali mentre guarda al domani ed imbastisce un sistema ristorante – territorio sostenibile, virtuoso, coraggioso.

LA SALETTA 22

La Saletta22 è una vera e propria chef table incastonata in una stanza a sé, un privé curato in ogni dettaglio – elegantemente decorata di ceramica scura, arredi artigianali, opere d’arte e luci soffuse, tutto in declinazioni di nero, grigio scuro, ottone, oro e vetro. Dentro alla Saletta22 si degusta un menù alla cieca pensato al momento da Max Mascia – grandi vini e proposte inedite, create ad hoc e declinate in funzione delle stagioni, del mood, del mercato. Ogni dettaglio è curato dalle maestranze selezionate da Max Mascia: tele Rubelli, Pelletterie Consani e Giannini, lampadario Drew drops Bomma, tavolo Terza Dimensione di Imola, mobili Garofoli. Le pareti e i pavimenti sono firmati Cooperativa Ceramica di Imola, la scultura è una Carmelo Cappello mentre la cantinetta vini è di Cibin a San Dona di Piave. Il progetto è firmato Max Mascia assieme ad Antonio Gasparri, studio di architetti A2 studio di Imola.

L'ATTENZIONE PER I DETTAGLI, IL DESIGN CURATO E LA RICERCA ARTISTICA:
AL SAN DOMENICO SI RESPIRA CULTURA

Del San Domenico Morini cura personalmente e con passione ogni singolo dettaglio: le pareti e i soffitti sono ricoperti di tela di lino decorato con lo stile preraffaelita di William Morris, le tovaglie sono di lino fucsia e i venti tavoli totali vengono apparecchiati con sottopiatti in argento, candelieri, piatti di ceramica e pregiati bicchieri in cristallo. Gli arredi sono di Thonet, Frau e Cassina, mentre alle pareti spiccano opere d’arte di alcuni dei più grandi artisti di arte contemporanea italiana da Alberto Burri a Mario Schifano, da Giuseppe Capogrossi a Piero Dorazio, con un occhio di riguardo per gli artisti imolesi come Mario Guido Dal Monte, Tonino Gottarelli, Andrea Raccagni e Germano Sartelli.